Strade e ponti al tempo dei Romani
Desidero precisare che mi sono occupato del Ponte della Madonna del Ponte, ritenuto sempre di epoca normanno/sveva, già negli anni ’80,
ma in particolar modo dal 2014 avendo ricevuto incarico di fare uno studio finalizzato alla pubblicazione di un libro, dall’allora Assessore al ramo, Giovanni Pantaleo, in quanto c’era stato un finanziamento per restaurare il Ponte, ho seguito i lavori di sbancamento e quando gli operai sono arrivati sul Ponte ed hanno tolto la terra che si era accumulata facendo innalzare il calpestio del Ponte, è comparsa alla luce la originaria sede stradale che rivelava inequivocabilmente un lastricato di epoca romana. Preciso che nessuno dei progettisti, né il direttore dei lavori si resero conto subito della grande scoperta. Anche la Sovrintendenza, nel suo primo sopralluogo, restò alquanto prudente. Ma man mano che i lavori procedevano diventava sempre più evidente che si trattava di un ponte romano.
La sede stradale dopo il dissodamento
La maggior parte delle strade romane furono tracciate in relazione alle necessità militari. La preferenza romana in fatto di costruzione stradale è quella di strutture rilevate sul suolo del percorso, in modo da rendere la strada più sicura dal punto di vista militare: infatti era più facile sorvegliare tutta la regione circostante e quindi rendere meno probabili le imboscate di nemici o di ribelli, mentre, per i comuni viaggiatori civili, si diminuiva il pericolo di attacchi e di briganti. D’altra parte queste strade rilevate richiedevano minore manutenzione, in quanto l’acqua piovana ne scolava più facilmente, e tutta la manutenzione, ne risultava facilitata. Sempre per le stesse esigenze di sicurezza, le strade romane evitano i passaggi in gole e valli strette e, fino a quando è possibile, sono costruite in linea retta, non tenendo in nessun conto le difficoltà del terreno, la pendenza, la necessità di manufatti. Anche la preferenza per il tracciato rettilineo si spiega in parte con ragioni di sicurezza nel traffico militare e civile, ma si deve anche pensare che il costruire le strade in rettifilo risultava molto più agevole in quanto non vi era che da seguire e allargare le strade o i viottoli già risultanti dal lavoro di delimitazione delle proprietà fondiarie e dalla stessa centuriazione dei terreni, poiché, per comodità di aratura, si evitava di tagliare i fondi rustici in forme irregolari. A seconda della natura del suolo e delle esigenze del tracciato, i costruttori romani di strade,in gran parte militari, adottavano soluzioni differenti, in genere dovevano attenersi al minimo di larghezza delle strade fissato dalle leggi in m.2,33 nei rettifili e in 4,66 nelle curve: queste misure corrispondevano alla necessità di permettere in qualunque punto l’incrocio di due veicoli. Per la costruzione di una strada si cominciava a scavare un grande fossato e trovato un terreno solido, su di esso si costruiva, usualmente, una massicciata di grandi pietre (Statumen), profonda dai 20 ai 60 cm, sopra la quale veniva sistemato uno strato di pietre, e poi uno strato di pietre più piccole(ruderatio o rudus) abbastanza profondo(25-30 cm) sul quale si costruiva il nucleus, uno strato di successivi cordali di sabbia, pietrisco e ghiaia, sul quale si appoggiavano la carreggiata(summa crusta e agger) e i marciapiedi laterali(marginus) rilevati dai 20 ai 60 cm sul livello della strada. Per il tracciato della strada i tecnici(gromatici)romani disponevano di alcuni strumenti topografici: la diotra, un goniometro, la groma, uno squadro agrimensorio, dei livelli e un filo a piombo. La lastricatura si faceva con blocchi poligonali che venivano fatti aderire l’uno all’altro sui lati. Eventuali irregolarità nei giunti venivano colmati con malta. Durante l’età imperiale c’erano i curatores viarum i cui poteri però erano limitati alle strade d’Italia, mentre per le strade di minore importanza provvedevano i magistrati romani che governavano le province. Le strade di secondaria importanza erano lasciate a fondo naturale e si provvedeva a sistemare soltanto i punti di attraversamento più difficili. Quando c’erano dei fossati o la necessità di superare un fiume i romani costruivano dei ponti con una tecnica che era più progredita di quella che usavano i Greci. I ponti romani più importanti erano costruiti in muratura e potevano avere un unico arco di oltre 30 metri di luce. Si costruivano sempre secondo un asse rettilineo e perpendicolare alla corrente dei fiumi, e qualche volta il ponte, per ragioni di stabilità, veniva costruito a “schiena d’asino”, cioè in pendenza e contropendenza rispetto alle due teste; in genere si evitavano carreggiate troppo larghe, ed era regola costante evitare di creare ingombro al libero deflusso della corrente non costruendo piloni quando era possibile e, altrimenti limitandoli di numero e di dimensioni. Uno dei ponti romani più larghi è il ponte Elio di Roma, di circa 11 metri di larghezza, mentre il più lungo è quello di Traiano sul Danubio di ben 1127 metri. Per spostarsi usavano dei carri da viaggio usati dalle persone anziane e dalle donne e per i viaggi lunghi(per esempio da Palermo a Trapani o a Mazara). Il carro di legno a quattro ruote era molto robusto ma privo di molleggio e procedeva sobbalzando sui grossi basoli di selce con i quali erano lastricate le strade più importanti e tutti i ponti. Spesso era dotato di una “cappotta” di tela o di pelle e ci si poteva anche dormire, dato che gli “alberghi” che sorgevano presso le stazioni di sosta e di cambio, erano di solito mal frequentati e sempre poco raccomandabili. Infatti questi locali erano frequentati da mulattieri, venditori ambulanti, contadini, schiavi, ed erano il ricettacolo di gente di malaffare. Le due strade principali in Sicilia erano la Messina-Trapani e la Messina-Siracusa; esistevano poi tante altre strade minori che collegavano i centri più importanti. Per quanto riguarda il nostro territorio ricordiamo l’Itinerarium Antonini che è il primo documento dell’antichità(risale ai tempi dell’imperatore Caracalla) che ci informa che Parthenicum era lungo il percorso e distava 12 miglia dalle Aquae Segestanae(individuate da Biagio Pace alle sorgenti termali che scaturiscono in grotta alle pendici del monte Inici) e 8 da Hyccara che Giustolisi erroneamente colloca a S.Nicola Prainito nei pressi di Carini, ma che è invece da collocare a Monte Jato per la sua maggiore consistenza archeologica. Questa strada che parte da Palermo arriva fino a Trapani e con una diramazione a Mazara. Ci pare degno di attenzione e storicamente attendibile il percorso che porta da Hiccara(Monte d’Oro) fino a Trapani e Marsala:<<il tracciato che da Montelepre si allunga nella pianura con percorso agevole, come indica una vecchissima trazzera regia. Pertanto l’Itinerarium, percorrendo, grosso modo, l’odierna strada provinciale che collega Montelepre a Partinico, arrivava a lambire l’insediamento di Raccuglia(che oltre ad essere stazione si sosta era sicuramente il sito di Parthenicum in età romana, e questo per la grandissima quantità e varietà di ceramica, di monete e di un capitello ritrovato dal Gruppo Studi e Ricerche) e attraverso il corso attuale, si inseriva in Via P.pe Umberto, per proseguire lungo la provinciale per San Cipirrello. Il tracciato toccava quindi località Rakali(dove è stato recuperato, sempre dal Gruppo Studi e Ricerche di Partinico, un tronco di colonna scanalato, presumibilmente di epoca romana)e abbandonando la strada provinciale, continuava con quella di un’altra trazzera regia e si dirigeva verso il fiume Jato per attraversarlo in località Lazzalora>>. Tralasciando però tutte le dotte interessantissime disquisizioni sul percorso dell’Itinerarium di Antonino Pio, noi ci fermiamo ad analizzare il ponte restaurato che supera lo Jato nei pressi del Santuario della Madonna del Ponte e che insiste su questo Itinerarium e che si è sempre creduto di epoca normanno-sveva. I lavori di restauro hanno portato alla luce la seconda arcata e il piano di calpestio originario che si trovava a circa 3 metri sotto il manto stradale attuale e hanno rivelato inequivocabilmente(nonostante la prudenza della sovrintentendenza) che è stato costruito in epoca romana(III sec.d.C.). La sua struttura rientra perfettamente nella tecnica costruttiva dei ponti romani, infatti è a “schiena d’asino” per far defluire le acque piovane dai due lati, ha una massicciata di circa 40 cm e sopra questa è lastricato con basoli di selce. Il problema che rimane aperto è che se il ponte è a due arcate o a tre arcate, così come vorrebe la tecnica costruttiva che usavano i romani. Dalle foto che alleghiamo si vede subito che purtroppo il terzo arco a sinistra di quello principale(guardando verso nord) costruttivamente è impossibile che sia ancora interrato, in quanto come si vede chiaramente dalle foto, la parte che supera il fiume Jato poggia sulla roccia a circa tre metri dalla parete rocciosa a strapiombo, per cui non ci sarebbe lo spazio per costruire un’altra arcata. Abbiamo un altro esempio di ponte a due arcate in Europa e precisamente si tratta del Ponte Romà, sul “torrent de Sant Jordì a Pollenza in Spagna(vedi foto). Questo ponte è pure a “schiena D’asino” con un arco semicircolare e un arco a segmento e presenta, come in quello della Madonna del Ponte, due frangicorrenti o rostri contrapposti che rinforzano il pilone centrale. Anche nel nostro ponte ci sono questi rostri nel pilone che dovrebbe essere quello centrale in quanto non ci sono tracce di altri rostri a sinistra, mentre a destra si intravede l’esistenza di un altro rostro che rinforza il ponte, ma ci pare impossibile che continuasse con un altro arco perché il ponte poggia già sulla carreggiata e poi dovrebbe essere più piccolo perché il ponte va a degradare da questo lato e verrebbe a trovarsi oltre 4 metri sotto l’attuale carreggiata. Aggiungo inoltre che su circa 300 ponti romani visionati(in foto) non c’è nessun esempio di ponte che va a degradare dal culmine della schiena d’asino fino a poggiare sulla carreggiata di destra(oltretutto il ponte avrebbe una forma architettonica squilibrata). Comunque, ulteriori lavori di scavo sul lato destro potrebbero far luce su questo problema. Allo stato attuale dei lavori propendiamo per un ponte a due archi, in cui l’arco più grande lascia defluire le acque del fiume Jato, mentre l’arco più piccolo serve a smaltire le acque del fiume quando questo, in inverno, è in piena. Teniamo poi conto che il fiume Jato è un piccolo torrente che non ha certamente una grande portata d’acqua da richiedere tre arcate.
Un altro problema di difficile soluzione ci si presenta, e riguarda due incisioni: la prima, più rudimentale(vedi foto),
Il graffito è stato individuato dal prof.Aiello ingrandendo il file relativo,in quanto nessuno si era accorto della sua presenza.
sul lato sud che guarda verso il Santuario e si trova a circa 1 metro e 50 sopra il rostro che rinforza il ponte ed è realizzato sulla malta che copre la parete del ponte ed è rappresentato da un’asta e due bracci semicircolari che potrebbero far pensare a due rami. Sopra quest’asta c’è un triangolo isoscele che suggerisce la chioma di un albero. Non è assolutamente un candelabro ebraico che ha sette luci, ma più verosimilmente potrebbe essere un albero, forse “l’albero della vita” che è un simbolo cristiano e che si giustifica con la vicinanza del Santuario. Essendo, come dicevamo, molto rudimentale nell’esecuzione, non ha alcun riscontro con gli “alberi della vita”(quasi tutti in pittura) che pazientemente ho controllato in diversi testi religiosi e su Wikipedia. Possiamo solo supporre che qualche pio cristiano, in epoca non precisabile, data la vicinanza col Santuario, abbia voluto rappresentare proprio l’albero della vita”.
La seconda incisione, che si trova dall’altro lato del ponte, quello che guarda verso nord, si trova sul lato destro del rostro ed è su una lastra di pietra dura che al suo interno ha incisa con perfezione una stella a sei punte che ci riporta subito alla mente la Stella di David(vedi foto) rappresentata da due triangoli equilateri contrapposti, in cui la punta rivolta verso l’alto indica il cielo e la punta verso il basso rappresenta la terra. I due triangoli sono bloccati in un abbraccio armonioso e simboleggiano la posizione dell’uomo tra la terra e il cielo. L’unione mistica dei due triangoli rappresenta la creazione. Ma questa Stella di David, che a partire dall’ottocento, diventa il simbolo degli ebrei, non possiamo collegarlo al sionismo in quanto non avrebbe senso né per il periodo in cui fu incisa(certamente dopo la costruzione del Santuario), né per il posto in cui si trova. E’ risaputo che la Chiesa fino al XIX secolo ha usato questo simbolo per indicare Maria che più volte è chiamata Stella(Stella Maris) e la sua incisione si giustifica con la vicinanza al Santuario della Madonna del Ponte. L’anonimo incisore, al tempo della costruzione del Santuario, nel periodo normanno-svevo, ha voluto collegare la chiesa col ponte su cui la tradizione vuole che ci sia l’impronta del piede di Maria e il ritrovamento fortuito della Statua della Madonna in una vicina grotta. Al centro della stella vi sono incisi dei petali
di fiore che forse, secondo il Sefirot, rappresentano il “fiore della vita” da cui ebbe origine “l’albero della vita”. Ci pare quindi verosimile indicare questa Stella di David, come una stella dedicata a Maria, la qualcosa avviene, anche se sporadicamente, in diverse chiese ed edifici sacri fino al XIX secolo. I due simboli: l’albero della vita e la stella di David nella storia del cristianesimo sono molto legati e interdipendenti. Riportiamo quanto ci dice una studiosa di teologia, Agostina Aiello.
“L’albero della vita era un albero che, secondo alcune tradizioni religiose, Dio pose nel Giardino dell’Eden, assieme all’albero della conoscenza del bene e del male. Nell’esegesi ebraica è insegnato che originariamente i due alberi erano uniti, in seguito Adamo ne separò le radici. Precedentemente al peccato originale Adamo si elevava carpendo continuamente i segreti e la modalità della sapienza superna. <<Così il Signore Dio fece crescere dal suolo ogni albero desiderabile alla vista e buono come cibo e anche l’albero della vita nel mezzo del giardino e l’albero della conoscenza del bene e del male>>(Genesi 2,9).
L’albero della vita appare, associato all’idea del Paradiso nell’Apocalisse.<<Chi ha orecchio ascolti ciò che lo Spirito dice alle chiese. A chi vince io darò a mangiare dell’albero della vita, che sta nel paradiso di Dio>>(Apocalisse 2,7).
Nella tradizione cristiana l’Albero della Vita rappresenta simbolicamente la Croce di Cristo; ancora oggi nella liturgia dell’Esaltazione della Santa Croce, nella prefatio si dice:<<Nell’albero della Croce tu hai stabilito la salvezza dell’uomo, perché donde sorgeva la morte di là risorgesse la vita, e chi dell’albero traeva vittoria, dall’albero venisse sconfitto, per Cristo nostro Signore>>.Luigi Maria Gringnion de Monfort nel “Il segreto di Maria” rappresenta la devozione religiosa come il “Vero albero della vita”, da coltivare nel cuore per ottenere il frutto di Gesù. Infine presenta due sue preghiere a Gesù e a Maria che non sono presenti nel “Trattato” o in altri libri, così come la conclusione che intitola ”L’Albero della Vita, ossia il modo di far vivere e regnare Maria in noi”:<<Se hai trovato il tesoro nascosto nel campo di Maria….Se lo Spirito Santo ha piantato nella tua anima il vero Albero della Vita, che è la devozione che ti ho esposto, devi porre ogni cura nel coltivarlo, perché ti dia il suo frutto a tempo opportuno>>
Ave Maris Stella è una preghiera cattolica dedicata alla Beata Vergine Maria. Il titolo latino significa: Ti saluto, stella del mare.
L’origine del titolo Stella del Mare, dato alla Beata Vergine Maria, sarebbe nei versetti del Primo libro dei Re. Su questa base San Girolamo, Sant’Isidoro di Siviglia, Alcuino, Pascasio Radberto e Rabano Mauro avrebbero incoraggiato l’uso di questo titolo. Il titolo Stella del Mare viene solitamente interpretato come sinonimo di Stella Polare, guida tradizionale dei naviganti. Consacrazione a Gesù per mezzo di Maria giaculatoria: ”Ad Jesum per Mariam”.
La vera devozione a Maria(Stella del Mare, Stella Polare) porta a Gesù che ci ha dato la salvezza attraverso la Croce(L’Albero della Vita).”
Come si vede i due simboli si intersecano e si compenetrano volti ad esaltare la grandezza di Maria nell’intercedere verso il Cristo e questa è la funzione della Madonna che è nel Santuario della Madonna del Ponte.





